sabato 3 febbraio 2018

Vampire Weekend - "Vampire Weekend" (2008)

 "Vedo il tetto di una mansarda spiando oltre gli alberi / Vedo un messaggio piccante scritto nelle grondaie / Il terreno sotto i miei piedi / La musica di merda e il calcestruzzo / E la punte degli edifici: ora riesco a vedere pure loro.”
Questa strofa riassume niente e tutto del primo, omonimo, album dei Vampire Weekend. Posta in apertura alla prima traccia del disco ("Mansard Roof"), funge, pur nella sua imperscrutabilità, da perfetto biglietto da visita per l’estetica e la musica della band. Una band universitaria, se ce n’è una. Istruita e saccente, cool e intellettuale. Tra le righe si legge già la vita frenetica da studente del college, le pause sotto gli alberi, nel giardino del campus, a contemplare e giudicare il mondo attorno, col distacco di chi ritiene di saperla lunga. A sentire la musica orribile proveniente dagli stereo dei compagni collegiali, e a pensare che stasera gli facciamo vedere noi come si suona. Noi, che il nostro nome è già scritto in alto, oltre le mura di questi dormitori, oltre le cotte per le studentesse maliziose e loro gonne cortissime.

Verso l’Africa, magari; quella delle percussioni che battono il ritmo del falò scoppiettante; verso l’Africa, ma filtrata dagli occhi e dalla sensibilità artistica di Paul Simon, che già due decenni prima ebbe l'intuizione di mescolare il pop anglofono con pulsazioni e armonie tribali. Verso l’Africa e di ritorno, tra le mura di questa stanza. In un party nella nostra Columbia University, illuminato da un grosso lampadario, che sai una cosa? Ci starebbe benissimo sulla copertina del nostro album d’esordio. Ci sta bene perché lo diciamo noi, perché a noi va bene così.


Ezra Koenig, Rostam Batmanglij, Chris Tomson e Chris Baio sono così. Non li puoi capire, e loro non ti porgeranno mai la mano. Dall’alto del loro inarrivabile talento, dal caldo dei loro costosissimi maglioni, dallo stile dei loro mocassini da barca, loro sanno, mentre tu no. Loro conoscevano la kwassa kwassa prima che tu cercassi il termine su Google, hanno detto che se ne fottono della grammatica di Oxford ancor prima che tu pensassi solo a metterla in discussione. Eppure la loro musica la ascolti, la ascolti senza soluzione di pausa, perché è la roba più fresca e genuina che tu abbia mai ascoltato. E in fondo sai che le loro storie, seppur celate sotto coltri di benessere e coolness, hanno un cuore umano e fragile, tiepido come quel caffè di Starbucks che ti hanno fatto scoprire loro.
           "Ti va di stare sveglia / Per vedere l'alba / Nei colori di Benetton?"
Le chitarrine e le tastierine, i loro brillanti incastri, acquistano nuova vita nelle mani di questi quattro studentelli, proprio quando pensavi che trent'anni di indie-rock le avessero sviscerate per bene. Il basso e la batteria dialogano in un linguaggio nuovo, proveniente da terre lontane e inesplorate, vicine all’Equatore. E poi arrivano quelle armonie vocali, quei controcanti un po’ gai che tu che sei cresciuto a pane e Sonic Youth non pensavi di poter tollerare, e invece ti ritrovi ad apprezzare senza poter opporre resistenza. E a un certo punto capisci che non puoi farci niente: loro sono i Vampire Weekend, investiti da quella luce divina che risponde al nome di Talento Innato, e sai già che tra due anni arriveranno davvero in alto. Magari, che ne so, in cima alla classifica americana, forse con un album che si intitolerà “Contra”. Chi può dirlo?

Per ora tra le mani hai solo queste canzoni, di rarefatta concretezza. Parlano di vite vere - seppur non tue - ma sono pronte a dissolversi nei loro mille dettagli, così che tu possa ricostruirle a modo tuo, come un puzzle senza una figura di riferimento. E alla fine ne esce fuori un tuo ritratto, applicabile alla tua vita universitaria. E forse capisci che lo stesso hanno fatto i Vampire Weekend, prima di te. E per renderlo più appetibile l’hanno condito di musica zuccherina, in un pop squisito ma tagliente, come quella frecciatina verbale che ancora non hai ben capito. 


Su "A-Punk" ci balli fino a consumarti le suole, gli acuti di "One (Blake's Got A New Face)" li canti fino a sfilacciarti le corde vocali. E non te ne importa nulla. Come non te ne importa nulla del significato di "Cape Cod Kwassa Kwassa" e di "Oxford Comma", perché in fondo esibiscono un afro-pop di un’eleganza e di una bellezza che farà scuola anche tra svariati decenni. C’è poi il tiro melodico di "The Kids Don’t Stand A Chance", "Bryn" e "Mansard Roof" pronto a stampartisi in testa, appiccicoso come la cotta molesta per quella compagna di corso. E tra le righe di "Walcott", anche per via del tono musicale vagamente umbratile, capisci che si nasconde un vero sentimento e non solo la pura ostentazione della propria cultura. Ne hai la prova in "I Stand Corrected" (“Avevo torto”), e pure in "Campus", dove un imbranato Koenig canta: “E poi ti vedo camminare da una parte all’altra del campus / Crudele professoressa, studiosa di amori / Come posso fingere di non volerti più vedere?”.

"I ragazzi non posso farcela", cantava chi invece ce l’ha fatta. In fondo, questo disco è la vittoria su tutto. Ci ha mostrato una band di educazione borghese, ma comunque vitale, frizzante e bruciante tanto quanto lo furono colleghi meno "nobili" di loro. Col punk, i Vampire Weekend non avevano e non hanno nulla da spartire. L’urgenza espressiva, però, può avere altre forme: può essere meditata, imbellita da barocchi intellettualismi, parlata con misurata eloquenza. E guardata dall’alto. Dalla cima del Dharamsala, ad esempio, dove stava il Dalai Lama, e il suo accento, che mi suonava normalissimo. Ecco perché non me ne frega niente, in fondo, di una virgola di Oxford. Figuriamoci del punk.



domenica 31 dicembre 2017

Il 2017 in 5 album

Broken Social Scene - Hug Of Thunder
Alla fine sono tornati. Forse proprio quando ce n'era più bisogno, nella necessità di dimostrare che l'indie-rock non è una sottocultura con data di scadenza, ma una filosofia, un moto dell'animo con le sue oscillazioni: ora attivo, ora strisciante nelle retrovie, pronto ad esplodere, nuovamente. E a lasciare il segno. Innovativo, vitale, empatico: sono queste le caratteristiche chiave di un grande album indie-rock, e il disco in questione le abbraccia tutte tre.


Rkomi - Io In Terra
Come ci esci dal sobborgo? Col culo per terra, a rimirare il cielo. Non ci esci, insomma. Magari stai girando il mondo, ma scalpita nel petto il ricordo degli anni passati tra gli insetti in quartiere, delle ferie in casa degli altri, del tempo che perdevi prima e della testa che c'avevi prima. E del tuo parka sul parquet, col suo palmo sul tuo petto. A gridarsi ti amo, ti odio; a respirare in apnea. Mai più, per sempre. Sempre ti andasse.



The xx - I See You
Sono trombe festanti, o forse malinconiche, non lo sai dire. E' splendidamente straniante. E poi entra il beat, e ti stai muovendo, e poi entra il canto, e canti. La nuova linfa vitale di cui si cibano Romy e Oliver cola dall'albero di nuova vita che fu "In Colour", il debutto solista di Jamie. Ma le loro melodie e liriche sono cristalli di ghiaccio, ora più che mai: sempre più fragili, sempre più preziose.  



Brunori Sas - A Casa Tutto Bene
Retorica fuori dalla porta, grazie. Verità limpide, fisiche come carta di giornale, cronaca incisa con inchiostro; perchè l'Uomo Nero non merita poesia. Canzoni di paura, contro la paura. Su Don Abbondio, che poi sei tu, e pure io. Con un anacronistico costume da torero, a cantare che l'amore è un colpo di pistola, perchè in fondo, dai, di che altro vuoi parlare? 



King Krule - The Ooz
Il miei polmoni sono depositi di catrame: sto soffocando. Che faccio? Ci fumo sopra. Fino a tossire, a vomitare benzina amara. Esco di casa sconvolto, ciondolante per i vicoli di quartiere, tra spacciatori e gatti infettati. Sono le dieci di sera e sono giunto in sala di registrazione. Si accende il microfono, la mia gola si infiamma. E allora mi dimeno, esplodo, urlo fuori l'anima. Fino ad annullarmi. Per poi fumarci sopra, ancora una volta.


lunedì 11 gennaio 2016

1947-2016

"Where are we now? 
Where are we now?
The moment you know 
You know, you know
As long as there's sun
As long as there's rain
As long as there's fire
As long as there's me
As long as there's you."